ARNEIS E SELEZIONE CLONALE
LE ORIGINI
Le prime testimonianze dell’Arneis le troviamo nell’astigiano nel XIV secolo, con la denominazione di Vinum Renexij.
Nei secoli successivi, le testimonianze che ci parlano di Arneis sono sempre più legate al territorio del ( = dei) Roero. Questa era una ricchissima famiglia astigiana che si arricchì prestando soldi e acquistò o conquistò un territorio enorme corrispondente, tranne poche eccezioni, alla zona oggi chiamata Roero. Nel 1478 il testamento di Domenico Roero a Canale ci ricorda che esisteva una vigna «ad Reneysium»;
Nel 1797 i primi inventari di storiche cantine parlano di “Brente di Arneis”, “Vigna Costa” a Castagnito e di “Vermout fatto con Arneis”.
Arrivando all’800 troviamo tracce di Arneis negli scritti di Gallesio, che lo elencherà tra le varietà più tipiche del Roero e il Rovasenda ne confermerà la liaison con la città di Corneliano d’Alba.
Nel 1810 compare “Arneis” in un inventario dei vini nella cantina del Castello di Monticello, sempre appartenente ai Conti di Roero.
I bollettini del 1879 infine indicano che il 40% delle vigne di Monteu Roero era dedicato all’Arneis.
Avvicinandosi al periodo dei conflitti mondiali (1913), nel mercato di Canale l’uva Arneis (chiamata “arnese”) raggiunse prezzi fino a 10 volte più rispetto alle altre. Alcuni sostengono che il prezzo superiore rispetto alle altre uve fosse causato dal suo utilizzo come uva da tavola e non da vino.
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Purtroppo nella prima metà del 900 tutto il mondo vitivinicolo subì una crisi terribile e l’arneis non ebbe sorte migliore, anzi….
LA CRISI
Con l’arrivo della fillossera, avvenne una brusca contrazione in termini di valore per l’Arneis, come per la maggior parte delle uve in Piemonte, pur rimanendo più quotata del Nebbiolo (9 lire vs 6/8 lire). L’arrivo della fillossera, la crisi economica, la seconda guerra mondiale, non facilitano di certo la viticoltura del Roero.
Dell’Arneis gradualmente sembrano perdersi le tracce; tant’è vero che sino alla fine degli anni Sessanta del Novecento non risulta nei cataloghi di mostre o esposizioni, tantomeno nei listini delle cantine di Alba, Langa e Roero.
Come scrissero Il Prof. Dall’Olio (primo Preside della scuola Enologica di Alba) e Macaluso nel libro Principali vitigni da vino coltivati in Italia edito dal Ministero Agricoltura e Foreste nel 1965, “L’uva Arneis viene utilizzata esclusivamente per la vinificazione, ma manca in commercio un vino di tale nome, perché normalmente l'uva viene mescolata, con il ruolo quantitativo dominante, ad altri vitigni bianchi della zona: Favorita soprattutto e talvolta anche Cortese” e poi ancora: ”Non di rado però frazioni piuttosto limitate di uve dell"Arneis vengono aggiunte a quella di Barbera, ovvero a mescolanze di altri vitigni neri della zona quando il Barbera prevale, al fine di ottenere un vino più gentile e di più pronta beva.”
La storia del vino Arneis, nell’attuale tipologia, inizia verso gli anni sessanta del secolo scorso. È un periodo di forti cambiamenti e grandi innovazioni per il settore vitivinicolo nazionale e proprio in quel contesto inizia la rinascita del vino.
LA RINASCITA DEL VINO
Cinque pionieri, tra grandi difficoltà, molte incognite e pochissimi strumenti tecnici iniziano con entusiasmo a vinificare e imbottigliare questo nuovo vino bianco: Alfredo Currado (Cantine Vietti), Umberto Ambrois (Tenuta Carretta), Sergio Battaglino ( Ristorante Trifula Bianca), Giovanni Negro (Cantina Negro) e Bruno Giacosa.
Leggendo la storia di questi precursori, ben raccontata dall’Enologo Lorenzo Tablino nei suoi approfondimenti storici, si trovano analogie che oggi fanno sorridere, tutte datate tra il 1965 ed il 1970. Quantità irrisorie, recuperate tra molti fornitori per cercare di riempire i serbatoi, barbatelle inesistenti, viti sparse tra i Nebbioli e le Barbere, sovente mischiate a Favorita o altri vitigni bianchi.
D’altra parte un buon segno fu la recensione fatta sul settimanale Panorama da Luigi Veronelli all’Arneis prodotto nelle cantine Vietti:
“Un vino dal nerbo viperino fiorale- fruttato fresco acido, vibra come la coda di una vipera.”
Occorre rendere omaggio a tutti questi personaggi che in un periodo non facile, ebbero fiducia in questo vino e, su esso, puntarono tempo, fatica e denaro.
Pian piano le migliorie di cantina davano i loro risultati; occorreva però maggiore impegno nei vigneti, ancora pochi e sovente gravati da promiscuità e problemi sanitari.,
LA RINASCITA VITICOLA
Arriviamo quindi al 1970 con Italo Stupino che si sposa e sua moglie Mita beve solo vini bianchi.
Purtroppo, nei 27 ettari di vigne aziendali l’unica uva bianca era il Moscato, ottimo per produrre vini da dessert, inadatto per vini da pasto. Inizialmente si rivolge ai suoi amici produttori, in particolare nel Nord-est d’Italia, per rifornire la cantina; poi però decide di produrre un vino bianco aziendale e che deve trattarsi di un vitigno autoctono. Dopo aver assaggiato Favorita, Erbaluce, Cortese e Arneis, alla fine la scelta cadde su quest’ultimo. Sicuramente grande peso nella decisione ebbero gli assaggi dei primi Arneis prodotti dal suo amico Bruno Giacosa, allora comproprietario con Italo sia del Castello di Barbaresco che della vigna del Falletto.
Abituato fin dall’Università ad affrontare le sfide con approccio scientifico, chiese consiglio al suo compagno di Liceo Professor Roberto Paglietta. Questi lo indirizzò al Prof. Italo Eynard, uno dei massimi esperti di viticoltura del tempo.
La risposta di Eynard fu onesta, ammise che ben poco si sapeva dell’Arneis, varietà pressochè abbandonata. Ma dopo la doccia fredda, Eynard propose anche una soluzione: l’impianto di una vigna per la selezione clonale di questo vitigno.
Serviva quindi una selezione clonale per avere materiale viticolo in maggior quantità, omogeneo, risanato da virosi e certificato.
LA SELEZIONE CLONALE
“Accettammo con grande entusiasmo la proposta” ricorda Italo, ed ebbe così inizio un progetto congiunto tra Università di Torino, C.N.R. ed Università di Bologna. Per 2 anni furono fatte analisi ampelografiche e tecnologiche nel Roero per scegliere le piante di Arneis più sane e produttrici delle migliori uve. Il legno di 23 possibili cloni fu innestato sui portainnesti più utilizzati in quel momento e nel 1977 venne infine piantata la nuova vigna. Il luogo prescelto fu la cascina di Montebertotto. Ogni filare aveva un portainnesto diverso e sul filare vennero distribuiti in modo casuale i possibili cloni.
La stessa cosa fu fatta a Montaldo Roero, in zona storica ma, per motivi a noi sconosciuti, abortì.
Il compito di seguire questa selezione fu affidato da Eynard ai più promettenti giovani ricercatori viticoli della facoltà, uniti a valorosi tecnici del CNR: Mannini, Bovio, Schneider, Novello e altri ancora.
Al terzo anno, nel 1979, furono vinificate le poche uve prodotte con la microvinficazione separata di tutti gli incroci clone / portainnesto.
La parte enologica fu affidata a Vincenzo Gerbi, Dino Marengo, Marco Rissone ed altri capeggiati dal Prof. Annibale Gandini, illustre microbiologo.
La selezione clonale, fatta nel vigneto del Castello di Neive, ebbe termine nel 1979, con la vendemmia delle prime uve di Arneis; intanto Italo gioisce anche per la nascita di sua figlia Carolina.
Dopo le analisi chimiche, venne l’ora dell’assaggio dei vini prodotti in microvinificazione dai candidati cloni. Italo invitò grandi colleghi produttori e molti famosi giornalisti del tempo, in primis l’amico Gino Veronelli . Fu anche l’occasione per memorabili pranzi al Castello cucinati da Claudia del ristorante «La Contea di Neive» in cui vennero serviti l’Arneis dell’amico Bruno Giacosa ed il Barbaresco Castello di Neive.
In seguito alle degustazioni e grazie al minuzioso lavoro delle Università di Torino e Bologna e del C.N.R. , furono così scelti i 3 cloni (CVT 15, CVT 19, CVT 32) che vennero registrati creando le basi per la rinascita viticola dell’Arneis.
Con la fine della selezione clonale ha inizio la storia del vino Arneis al Castello di Neive che continua ancora oggi.
L’ARNEIS DEL CASTELLO DI NEIVE
In tutti questi anni, anche grazie al contributo fondamentale della selezione clonale ad opera di C.N.R., Università di Torino e Castello di Neive, la superficie impiantata ad Arneis è passata da circa 20 ettari teorici (molte volte non era Arneis) dei primi anni 70 ai circa 1000 ettari di coltura specializzata odierni. Possiamo ragionevolmente pensare che più dell’80% dei vigneti attualmente in produzione sia stato piantato con i cloni CVT selezionati a Montebertotto e questo è motivo di orgoglio per Italo ogni volta che ne parla…..
Nel 1982 con le uve arneis rimaste dalla selezione clonale producemmo un vino che ci piacque moltissimo ed ancor oggi custodiamo gelosamente le poche preziosissime bottiglie che vennero nascoste nella sabbia dal cantiniere «Talin» per ripararle da luce e dagli sbalzi termici. Il suggerimento ci venne da Gino Veronelli che lo aveva visto applicato da Giorgio Gray.
Nel 2014, la degustazione di una di queste bottiglie vecchia di 32 anni, ha lasciato noi e la nostra illustre ospite Kerin O'Keefe a bocca aperta, increduli di fronte a tanta freschezza e mineralità.